La mia è stata una scelta rischiosa, per questioni d'ambiente soprattutto.

Sono nato e cresciuto in un paesino, in una regione decentrata dove indagare e coordinare idee era qualcosa d'impossibile. L'ambiente, l'epoca della fanciullezza e della giovinezza In quel Moimacco, era un mondo troppo ristretto dove le voci dell'arte arrivavano con tutto il ritardo inimmaginabile e con distorsioni che aumentavano le difficoltà di entrare pienamente in quelle cose.

In quei periodi ormai lontani degli anni trenta-trentacinque-quaranta, dove imperava solo miseria e il solo ingrato lavoro dei campi con misere soddisfazioni economiche, mi sono trovato ad agire da solo, alla ricerca di me stesso, in solitudine, un Pa' in disparte, anche per il mio temperamento schivo e timido, o per un'innata e anche forzata tendenza a tentare di far da solo, analizzando, approfondendo quanto mi era possibile.

 

So che dopo la terribile guerra, con tutte le derivazioni e le sue implicazioni, gli stenti, i patimenti, c'è stato in me e In tutti noi dell'epoca, un nuovo modo di vedere dato da speranza e da quel senso di libertà che il periodo nero prima ci aveva costretti a non assaporare, a non conoscere.

Quest'estrosità mi portava con studi fatti a Venezia, ad un avvicinamento identificabile all'espressionismo generico, ma non nordico, con indicazioni semmai nostrane, ancora in parte veneziana mente tondi, dove queste tonalità erano basse, come un suono di corda di violoncello: dove lo studio della figura umana, della ragazza, del paesano era realizzato con un senso quasi affettuoso e con risultati che vengono indicati dalla serie di lavandaie, dove, parlando di colore, i toni predominanti erano i verdi ricchi di trasalimenti e modulazioni. Sono i verdi del Friuli che ho in cuore e che ho riproposto in termini elegiaci credo anche attraverso le dolci modulazioni e insistenze di ritmi costruttivi curvilinei.

 

E' un'ossatura di forme che rimarrà costante nella mia vicenda pittorica, specialmente quando (ispirazione deriva dal lavoro che solitamente ha un impronta corale, con un andamento circolare, quasi destinato a chiudersi. E questa ossatura o modo formale lo incontriamo nel periodo dei fiori di cardo, appassiti, sempre con tonalità che fanno ricordare altri momenti posteriori degli anni '70, ma ormai siamo un po' lontani dai cardi e dai paesaggi di Spagna.

Ho detto un tempo che i miei dipinti nascono come i giorni e come i giorni hanno la stessa iniziale malinconia. Ma poi la luce che segue mi da coraggio e lo spazio si colora.

Si, lo spazio, in parte rotto per ricomporsi secondo il cubismo di Braque più che di tutti i maestri.

Le particolari e specifiche tonalità, con una lenta distruzione e annullamento dei volumi, lasciano il posto a zone piatte quasi ad indicare mondi più incantati, usciti da una culla di forme geometriche irregolari, ma simili, varie, ma ormoniche.

Pur avendo seguito e seguendo tutt'oggi e guardando all'avanguardie, non intendo distruggere quel patrimonio di tradizioni che amo e che considero valide ancora oggi.

Mi servono fino al punto di consentirmi di meglio maturare la mia personale espressione.

Non mi è stato possibile rinunciare, per rimanere sulla cresta dell'onda, e quel nucleo costruttivo figurativo od ossatura che porto in me e che mi è stato dato dalle mie esperienze.

I miei cieli e le mie stagioni, le ho condotte con tenacia, in profondità, senza sbandamenti o improvvisazioni, ma con il proposito di semplificare il discorso, di portarlo all'essenziale, affidando a/colore che per me è uno degli elementi essenziali che compongono il dipinto; in modo che la modulazione lieve d'un colore, una sfumatura, nella limpida materia pittorica, bastano a creare un'intensa pagina lirica.

L'abbagliante luminosità della Spagna lentamente assorbita dopo il 1962, e anche della Dalmazia, ha fatto si che la corporeità dei fiori, cardi, girasoli, ecc., venisse a sbiadirsi e lasciare solo l'orma e a diventare in certi felici momenti, luce, atmosfera, aria purificata.

 

Ancora ricompare la figura umana ed è anche questa una specie di evocazione, di suggerimento fantastico, sentita in modo non arrogante, uscita da un'armonia flessuosa che non dimentica quel periodo dei lavoratori, delle vendemmie, che sul filo del neorealismo camminavano in sintonia con una visione tonale in parte autonoma, in un'area che precede quella ufficiale dei Guttuso, Pizzinato, Zigaina, fatti della XII - Biennale di Venezia del 1952, con uno scoperto programma a fondo sociale e politico.

Al contrario, il mio neorealismo semmai, ero di intonazione patetica e lirica.

Le figure erano immerse in un clima ancora di sogno nostalgico, lirico, invece che legato a una più logica prosa di documentazione.

Così mi sono trovato per un periodo ad essere pittore neorealista, senza preventivi pro grammi o decisioni chiare, non essendo legato come in parte è successo a schemi intenzionali, sapendo di poter muovermi senza sbalzi o contraddizioni.

Sono arrivato a disporre di una materia raffinata, si da rendere il mio mondo in una visione semplice e gentile direi, dove si incontrano effusioni luminose fino a far vi vere soli ricordi degli oggetti che si sviluppano nei colori chiari, in vasti piani avvicinati e talvolta fusi, mezzi questi, per dare vita alla luminosità sia pur pacato di tutto il dipinto.

In questa ultima mia personale alla Galleria 71 Ventaglio di Udine certi silenzi, o un certo incanto sono distratti dalla nota nero che si inserisce per dare più sostanza e forza al dipinto.

lo dico che è trasformato tutto in evocazione fantastica, in un intimo godimento, in un mondo sereno, semplice, contemplativo, lontano dalle tentazioni delle tecnologie, dalla protesta, dall'ecologia, imparentate con/a società dei consumi di oggi.

 

 

 

Guido Tavagnacco